martedì 8 novembre 2016

RENAULT R5 Maxi Turbo

Renault R5 Maxi Turbo


Il progetto della Renault 5 Turbo nasce sul finire degli anni settanta, dalla necessità della casa francese di disporre di una vettura stradale dalle caratteristiche tecniche tali da poter essere competitiva anche nei rally mondiali.Dopo aver impiegato con successo la Alpine A110 nei rally, la Renault utilizzò la R5 Alpine, versione spinta della dell'utilitaria a trazione anteriore, tuttavia inadatta a fronteggiare ad alto livello una vettura come la Fiat 131 Abarth Rally, al tempo dominatrice del panorama rallystico. L'obiettivo era quello di creare una vettura a trazione posteriore potente e leggera. Nel 1980 quindi, parte la produzione della Turbo: presso la carrozzeria Heuliez arrivavano le scocche della normale R5, le quali venivano modificate nel pianale e nei passaruota allungando anche il passo, da lì inviate alle officine della Alpine a Dieppe per l'assemblaggio e la verniciatura finale. I tecnici dovettero risolvere numerosi inconvenienti legati al collocamento degli organi meccanici e relativi accessori dietro l'abitacolo. I serbatoi del carburante furono spostati sotto i sedili per un miglior bilanciamento dei pesi, mentre nel vano posto sull'asse anteriore venne ricavato un grande sfogo d'aria per smaltire il calore del radiatore, restarono sull'avantreno la batteria, la pompa impianto frenante, l'impianto di aerazione e la ruota di scorta. La Renault 5 Maxi Turbo, era la versione da competizione, allestita in configurazione Gruppo B prodotta dal 1984 al 1985. Era spinta da un motore con cilindrata portata a 1.527 cm³ ed utilizzava pneumatici di diametro maggiore; la potenza arrivava a 350 CV a 6.500 giri/min. Per la sovralimentazione, iniezione e parti del motore utilizza tecnologie ereditate direttamente dal team di Formula 1, il ricorso a leghe leggere e materiali in composito permisero di contenere il peso in 905 kg.Il contemporaneo declino nei rally del Gruppo 4 (per il quale era stata sviluppata la vettura) sostituito dal debuttante Gruppo B con nuove performanti vetture sviluppate in funzione di esso e l'avvento della trazione integrale nei rally, indussero la casa madre a focalizzare gli sforzi sul campionato francese di rally e su prove a livello europeo, dove colse numerose affermazioni, mettendosi in luce anche in diverse prove valide per il campionato del mondo rally, soprattutto per merito del pilota Jean Ragnotti. L'ultima vittoria di prestigio fu quella del Rally di Portogallo 1986, dopodiché l'abolizione del Gruppo B e la decisione della Renault di puntare per ragioni di marketing sulla Renault 11 determinarono la fine del programma sportivo ufficiale.

mercoledì 2 novembre 2016

ABARTH


Abarth Formula Libera

Simca -Abarth 2000 GT4

FIAT Mefistofele

Fiat Mefistofele

"Un lontano brontolio diviene rapidamente tuono: un imponente sigaro rosso avanza velocissimo, scartando violentemente da un lato all'altro della carreggiata, tra polvere sollevata dalle ruote e fiamme eruttate da uno scarico grosso come una canna d'organo; l'auto ingigantisce e rapidamente scompare ancora tra polvere e fiamme". E' così che nel 1924 un giornalista inglese descrisse la Fiat SB4 "Mefistofele". Una rappresentazione quasi "diabolica" come l'idea che ebbe l'inglese Ernest Eldridge che acquistò una Fiat SB4 del 1908 per trasformarla nella forma oggi da noi conosciuta come flamboyantes. Particolari furono anche le circostanze dell'acquisto, delle quali vale la pena far cenno.

La SB4 montava in origine un motore da 18.000 cc a quattro cilindri ospitati da due monoblocchi bicilindrici accoppiati fra loro che - si dice - il precedente proprietario, John Duff, aveva maldestramente elaborato. Il risultato, anch'esso da Guinness dei primati, fu una delle più spettacolari rotture meccaniche della storia delle corse inglesi: uno dei cilindri esplose con una violenza tale da trasformarsi in un missile che, strappatosi dal vincolo dell'albero motore, si portò a considerevole altezza sul cielo di Brooklands trascinandosi appresso il suo cilindro, qualche altra parte meccanica ed il cofano della vettura.

Per Eldridge non fu difficile convincere un John Duff verosimilmente frastornato a vendergli quanto restava della sua auto. A doverosa riabilitazione va detto che Duff contribuì - poco tempo dopo - alla vittoria della Bentley a Le Mans. 

In quegli anni pionieristici qualsiasi idea poteva essere quella buona. Conoscenze tecniche tutto sommato limitate, temerarietà e senso della sfida formavano un cocktail che spingeva ad azzardi che oggi sarebbero del tutto improponibili. Già in precedenza Eldridge, possessore di una Isotta Fraschini del 1907, ne aveva fatto allungare il telaio per alloggiarvi un propulsore Maybach da 20,5 litri ed ecco quindi che, sul telaio SB4 vecchio di vent'anni, il pilota inglese decise di montare un propulsore aeronautico Fiat A12 a sei cilindri in linea da 3.615 cc ciascuno per un totale di 21.700 cc. 

Naturalmente il motore era troppo lungo per il telaio originario, ma una visita ad uno sfascia carrozze londinese, permise di prelevare alcune parti del telaio di un bus che vennero integrate a quello della SB4. Dopodichè fu la volta della carrozzeria che, in effetti, con l'allungamento del telaio divenne più filante, se così si può definire un'auto dal frontale aerodinamico come un muro in contrapposizione ad una coda viceversa ben rastremata. Quanto al motore, Eldridge - un ingegnere che contribuì anni dopo ai successi delle auto da record della MG - modificò profondamente le teste montando quattro valvole per cilindro ed ottenendo così una potenza di 320 CV a 1.800 giri/minuto. Vennero mantenuti, sull'assale posteriore, tanto l'originale trasmissione a catena quanto i freni del tutto assenti all'avantreno. In accellerazione ed alla minima asperità del terreno, il telaio torceva e la vettura serpeggiava vistosamente anche in rettilineo. Quanto alla tenuta degli pneumatici, Eldridge probabilmente si affidò alla sorte vista l'importanza della posta in gioco. 

LA SFIDA E IL RECORD
Route d'Orléans, Arpajon, 6 luglio 1924: protagoniste della sfida per il nuovo record mondiale di velocità sono la Delage V12 da 350 CV di René Thomas e la Fiat SB4 Ernest Eldridge. Fu in tale occasione che alla Fiat venne attribuito, dal pubblico colpito dall'aspetto e dal rumore, il soprannome di "Mefistofele". L'auto raggiunse i 230,55 km/h, ma la prestazione, dietro reclamo dell'avversario, non venne omologata in quanto la Fiat non montava, come prescritto dal regolamento, la retromarcia. Comunque, al di là del reclamo, Thomas portò il giorno dopo la sua Delage a 230,63 km/h. Ma il francese gustò l'omologazione del suo record per soli sei giorni: il 12 luglio 1924 Eldridge, dopo aver rivisto la messa a punto dell'auto ed averla dotata di una retromarcia esterna al cambio della quale oggi non rimane purtroppo traccia, portò il "vecchio" record sul chilometro lanciato a 234,97 km/h. Un contributo importante che non sarebbe giusto sottacere e che la dice lunga su quei tempi eroici, venne fornito dal meccanico nonché passeggero di Eldridge, tale John Ames, il quale, mentre l'auto scartava da un ciglio all'altro della strada ad oltre 230 km/h, pompava forsennatamente aria nel serbatoio della benzina, in modo da incrementarne la pressione in uscita. Si dice che Aldridge, dopo aver conseguito il suo record portò la Mefistofele a Parigi, parcheggiandola di fronte agli showrooms della Delage. 

LA MEFISTOFELE IN CIFRE
Motore: anteriore 6 cilindri in linea; cilindrata 21,7 litri; alesaggio/corsa 160x180 mm.; rapporto di compressione 4,8:1; 4 valvole e due candele per cilindro; accensione tramite due magneti; 4 carburatori Fiat; lubrificazione a carter secco.
Trasmissione: a catene, sulle ruote posteriori; frizione multidisco; cambio a 4 marce e retromarcia esterna.
Freni: a pedale e a mano: meccanici sulle ruote posteriori.
Sterzo: elicoidale, vite senza fine.
Telaio: a longheroni stampati e sagomati in acciaio; traverse e supporti imbullonati e/o chiodati.
Sospensioni: ad assali rigidi, balestre ed ammortizzatori meccanici; puntoni di reazione al ponte posteriore.
Pneumatici: 6.00-21; 33x6.
Dimensioni (ml) e pesi (kg): L-l-h: 5,091-1,850-1,400; passo: 3,450; carreggiata ant/post.: 1,480/1,390; peso: 1.780. 


(Testo originale di Giovanni Notaro)

lunedì 13 giugno 2016

ALPINE M64

Alpine M64

L'Alpine venne fondata nel 1955 da Jean Rédélé , che iniziò a costruire la A106 servendosi di telai e meccanica della 4CV. Nel 1962 venne introdotta la vettura da competizione M63, poi migliorata e denominata M64. Per la stagione 1964 furono costruiti solo tre esemplari, con numero di telaio 1709, 1710, e 1711. L'Alpine M64, telaio 1711, debuttò alla 24 ore di Le Mans del 1964 pilotata da Henry Morrogh e Roger Delageneste, che dalla posizione 36 sulla griglia di partenza, tagliarono il traguardo al 17° posto assoluto e primi di classe, completando 292 giri (poco meno di 3.921 chilometri) alla velocità media di 163 km/h.

Dopo poche settimane, sempre con gli stessi piloti, vinse alla 12 Ore di Reims, quindi fu impiegata in diverse cronoscalate ed alla 1000km di Parigi, dove si piazzò con un secondo posto di classe.

Per la successiva stagione del 1965, la vettura venne dotata di un sistema di sospensione oleo-pneumatico Allinquant. Nonostante i buoni risultati conseguiti durante i test della 24 ore di Le Mans, dovette ritirarsi durante la quindicesima ora a causa di problemi meccanici. L'M64 tornò ancora a Reims finendo 4° di classe nella gara di 12 ore, e l'ultima gara della sua carriera, fu disputata al Gran Premio di Cognac con Mauro Bianchi al volante.

Dopo il ritiro dalle corse, la vettura venne utilizzata dall'Alpine come prototipo per la A210 e la parte posteriore venne modificata con l'aggiunte di pinne per prove aerodinamiche.

venerdì 3 giugno 2016

DE TOMASO

De Tomaso P-70

Questa vettura nacque da un'idea del progettista statunitense Peter Brock, che lavorava presso il team del pilota e preparatore americano Carroll Shelby. La piccola Casa modenese, che fino ad allora aveva prodotto solo poche vetture da competizione ed una cinquantina di coupé Vallelunga, era desiderosa di fare un salto di qualità e sperava che gli americani l'acquistassero per sostituire le loro Lang Cooper a telaio tubolare ormai al limite dello sviluppo.

Ma proprio nel 1965, Shelby venne coinvolto dalla Ford nel programma della Ford GT40, che fino ad allora aveva dato risultati deludenti. Il preparatore si dedicò completamente a questo nuovo incarico, cosicché Alejandro De Tomaso si trovò senza il principale destinatario della sua nuova Sport.

De Tomaso strinse quindi un accordo diretto con Pete Brock, che nel frattempo aveva lasciato la Shelby American per fondare la Brock Racing Enterprises; l'americano era intenzionato a produrne senza grossi problemi cinquanta esemplari per poterla omologare tra le GT. Per seguire la realizzazione del protitipo, Pete Brock si trasferì in Italia per collaborare coi tecnici della Carrozzeria Fantuzzi, che avrebbero materialmente realizzato l'auto sulla base meccanica fornita da De Tomaso.

Il punto di forza e la principale innovazione della "P70" ("Sport 5000" al momento della presentazione) era il telaio monotrave in alluminio, ispirato a quello della Vallelunga, che prevedeva il motore posteriore centrale come elemento strutturale, come nelle auto da competizione degli anni settanta.

Era dotata di carrozzeria in alluminio dalla linea molto aerodinamica, con due grosse prese d'aria e l'ampio alettone posteriore mobile comandato dalla leva del cambio (una soluzione in seguito vietata). La vettura fu progettata per accogliere motori Ford-Shelby V8 da 4.2 litri, 4.7 litri e 5.3 litri, fino ad arrivare ai 6,8 litri per la Can-Am (da qui il nome P70: Posteriore 7000). Alimentato da quattro carburatori Weber doppio corpo e accoppiato ad un cambio a cinque rapporti De Tomaso, la versione da 6.786 cm³ si supponeva sviluppasse 526 CV.

Non potendo partecipare alle gare del Campionato del mondo sportprototipi in quanto concepita secondo i dettami del regolamento Gruppo 7 per la Can-Am, la P70 fu sottoposta a parecchie modifiche (soprattutto alla carrozzeria, che fu dotata di portiere e di quanto necessario alla circolazione stradale) e dotata del motore Ford di 4,7 litri per conformarsi al diverso regolamento gruppo 4 e permetterle di iscriversi alle gare del mondiale marche e fu pertanto ridenominata Sport 5000 Fantuzzi Spyder, ma la sola competizione a cui partecipò fu il GP del Mugello del 1966 con Roberto Bussinello, costretto al ritiro al primo giro.

La Sport 5000 fu iscritta anche alla 12 Ore di Sebring del 1966 per gli italiani Umberto Maglioli e Franco Bernabei e il belga Pierre Noblet e successivamente si decise di correre alla 1000 km di Monza del 1967 e avrebbero dovuto pilotarla Baghetti e Bussinello, ma in entrambe le occasioni la vettura non venne portata in pista, mentre la domanda di iscrizione alla 24 Ore di Le Mans 1966 non fu nemmeno accettata.

Il telaio della P70 divenne la base tecnica della De Tomaso Mangusta, che deve il suo nome al desiderio di rivalsa nei confronti del preparatore statunitense e delle sue Cobra: infatti la mangusta è famosa per essere uno dei pochi mammiferi in grado di cacciare i serpenti...

De Tomaso Pantera

giovedì 12 maggio 2016

AUDI

Auto Union Type C

Auto Union Type D


WARBIRDS



Super Constellation

Boeing F-15

Panavia Tornado ECR

Fairchild A-10

Mig-31

Mirage 2000

PBY Catalina

Avro Vulcan XH558

Phantom F-4 II

 Mig-21 Bis

Supermarine Spitfire MKIX

Supermarine Spitfire MKI

F4U Corsair


Douglas A4

North American P-51 Mustang (#02)
Messerschmit BF-109

Boeing B-17 Flying Fortress (#02)

Boeing B-17 Flying Fortress (#01)

F-16 CJ

Boeing B-29A "Fifì"

Boeing B-17 & North American P-51

Republic P-47 Thunde4rbolt

North American B-25 Mitchell

Consolidated B-24 Liberator

De-Havilland DH88 Comet

McDonnell Douglas F-4 Phantom II

North American F-86 Sabre