mercoledì 1 marzo 2017

Porsche 718 RS-60 spyder





A differenza di altri costruttori di auto da corsa, alla fine degli anni cinquanta, gli ingegneri Porsche preferirono basarsi sulla realizzazione di un telaio leggero ed autoportante, con una carrozzeria aerodinamica in alluminio al fine di ottimizzare la frenata, i consumi di carburante e l'usura dei pneumatici, e migliorare l’accelerazione. Questa formula dimostrò di essere molto efficace, e le 550 vinsero alla 24 Ore di Le Mans, alla Mille Miglia, ed alla 1000km di Nürburgring. In seguito, la 550A, la RS 550/1500, e la  RSK del 1957 avrebbero consolidato il dominio delle Porsche su circuiti di tutto il mondo.

I modelli RS60 ed RS61 rappresentavano lo sviluppo finale sulla base delle Spyder. A causa dei nuovi regolamenti imposti dalla FIA, queste macchine erano notevolmente diverse dalle precedenti, infatti era presenti porte e parabrezza più grandi, un abitacolo allargato, e lo spazio per una valigia! Queste vetture, (conosciuta come Tipo 718), avevano un telaio tubolare simile a quello della RSK, ma più lungo e largo per soddisfare gli ingombri imposti dal regolamento. L’aumento di peso venne compensato utilizzando ruote più piccole, mentre la sospensione posteriore a doppio braccio oscillante, il motore e la trasmissione restarono invariate. Il propulsore veniva offerto in due varianti: Tipo 547/3 di 1500cc e 166CV, e Tipo 547/4 di 1600cc e 178CV

Quattro esemplari per la squadra ufficiale, e dodici per i concorrenti privati. La vettura debuttò e vinse alla 12 Ore di Sebring del 1960, mentre per la Targa Florio, vennero allestite tre vetture di cui due con nuovi motori Tipo 547/5 da 1700cc. Una di queste concluse la gara in prima posizione assoluta. Al Nurburgring una RS60 si piazzò al secondo posto assoluto, ma nei lunghi rettilinei della 24 ore di Le Mans, queste spyder non poterono competere contro le vetture di 3.0 litri di cilindrata.


Dopo un anno di successi, per la stagione 1961, la Porsche cambiò solo il nome in… RS61.

martedì 28 febbraio 2017

Porsche 917 PA


Senza questa vettura, il dominio totale della Porsche nel Canadian-American Challenge Cup non sarebbe mai avvenuto.

Nel 1969 le corse delle Can-Am erano molto popolari negli Stati Uniti, e l'America rappresentava un mercato molto importante per la Porsche. La classe del Gruppo 7 non poneva quasi limitazioni: libera era la cilindrata, così pure il peso minimo. La casa tedesca sapeva che non sarebbe stato facile combattere in questa categoria, dominata dal team McLaren/Chevy, nonostante questo, nel 1969 prese la decisione di fornire macchina, pilota (Jo Siffert) e squadra alla divisione americana di Porsche Audi Volkswagen.

Rimaneva un problema: gareggiare con una 917 Gruppo 5, nella categoria Gruppo7. I lavori di sviluppo iniziarono subito dopo la gara di Le Mans, e la prima 917 PA (Porsche /Audi)
arrivò negli Stati Uniti nel mese di agosto. Era una vettura ispirata alla 908/2 Flounder, ovvero una 917 privata del tetto per contenere l’aumento di peso causato dal grosso serbatoio di 56 litri (necessario per portare a termine le gare senza soste). Più che per la potenza, la Porsche ottenne buoni piazzamenti grazie alla sua affidabilità e fece esperienza per l’anno seguente.

Un assalto in piena regola al campionato Can-Am, fu portato con la 917/10 e la 917/10 Turbo; e nel 1973 con la 917/30 ottenendo un dominio così devastante, che la serie perse interesse per mancanza di concorrenza.

La vettura illustrata venne  acquisita da Vasek Polak e gradualmente convertita in una 917/10 con motore turbo da 1100 CV della 917/30. Rispetto a qualsiasi altro Gruppo 7, è quella che ha corso di più nella serie Can-Am rimanendo competitiva fino al suo pensionamento.

Porsche 924 Carrera GTS


Nel 1979, al salone di Francoforte, la Porsche presentò un esercizio di stile sulla 924, che anticipava le linee della 944. L’anno successivo venne omologata una versione per la 24 ore di Le Mans nella categoria Gruppo 4 (poi classe GTP), denominata 924 Carrera GT, basata sulla 924 Turbo ma con diverse appendici aerodinamiche simili a quelle del prototipo di Francoforte. Nel 1981 la Porsche produsse 406 esemplari di 924 Carrera GT, tra cui sei prototipi. Il motore erogava 210CV, e la vettura pesava 1.180 chili, e con una ripartizione delle masse ben distribuita sui due assi (49/51).

Un passo avanti rispetto alla GT fu la versione GTS, con 59 esemplari realizzati appositamente nello stabilimento di Stoccarda. La GTS montava un intercooler più grande e riposizionato nel vano motore che in questa versione arrivava a 250CV. Proprio a causa dell’ingombro sotto al cofano, i fari estraibili vennero sostituiti da proiettori fissi, che tuttavia non furono particolarmente efficienti. Esternamente era facilmente distinguibile per i finestrini laterali scorrevoli. Quindici esemplari di GTS, erano “Sport Club”, montavano un roll bar ed erano ancora più potenti e leggere. L’ultima evoluzione, denominata Carrera GTR, vantava una potenza di 375CV e venne prodotta in 19 esemplari approntati esclusivamente per le gare, di cui nove hanno effettivamente partecipato a Le Mans

Alfa Romeo 8C Tipo C


L’Alfa Romeo Tipo C, è stata progettata per essere in grado di accogliere due diversi motori: un 8 cilindri in linea di 3822cc (8C35) o un V12 di 4064cc (12C36).

Come la P3, anche la Tipo C aveva un telaio realizzato in elementi scatolati a C, ma con un passo leggermente allungato e portato a 2,75 m. Le sospensioni erano tutte indipendenti, con quella posteriore che era essenzialmente una copia dei disegni tedeschi del tempo.

Progettata da Jano, avrebbe dovuto montare il V12 fin dall'inizio, ma a causa dei ritardi nello sviluppo di questo motore, si installò l’otto cilindri in linea da 330CV per le prime corse della stagione. Il debutto a Monza nel 1935 si concluse con un secondo posto dietro l’Auto Union

Nel 1936 le vetture tedesche erano più veloci che mai e anche l'introduzione del V12 non era sufficiente per rendere le vetture competitive. Il V12 erogava 370CV, mentre la Mercedes disponeva di 490 CV e l’Auto Union ben 520 CV.

L’anno successivo,  il V12 arrivò a 430 CV, ma era ancora ben al di sotto dei livelli di potenza delle vetture tedesche e in qualche caso, le Alfa vennero battute anche da vetture più vecchie. Al gran premio d’Italia a Livorno, Nuvolari era così demoralizzato che cedette la vettura al compagno di squadra Farina nonostante avesse segnato il miglior tempo sul giro.

L'auto di questa illustrazione è una 8C Tipo C-35 del 1935, portata in gara da Tazio Nuvolari per la scuderia Ferrari. Con il telaio numero 50013, è l'unico esemplare di questo tipo ancora esistente.

lunedì 27 febbraio 2017

Aston Martin Tipo A "Red Dragon"


Nonostante fosse una vettura molto amata dai gentlemen driver, e molto competitiva in pista, lo svantaggio principale di questa piccola Aston Martin era il prezzo, tra i più costosi dell'epoca per un auto di soli  1,5 litri di cilindrata. Per  rendere la vettura più commerciabile, l’Aston Martin, portò il motore a 1949cc e per l'edizione del 1936 della 24 Ore di Le Mans si impegnò a realizzare 30 telai come richiedeva il regolamento. Quell’anno, tuttavia, la gara venne annullata, le vetture vennero  rapidamente vendute, e mai ufficialmente hanno preso parte alle competizioni. L’Aston Martin si ritirò dalle corse. Molti di questi telai, realizzati per soddisfare i requisiti di omologazione della gara francese, furono convertiti per altre esigenze, e carrozzati con diversi stili per rispettare i vari regolamenti di altre gare.

L’auto di questa illustrazione, è una delle sei tipo A 2/4 costruita nel 1936. Restaurata da Ecurie Bertelli nel 2005, sembra essere l’unica sopravvissuta (telaio DGO 486).

Nota come 'Red Dragon', vanta una lunga storia nelle corse. Si tratta di un esemplare con carrozzeria di Harry Bertelli realizzato per Dick Seaman nel 1936, venduta l’anno seguente all’olandese Eddy Hertzberger per competere nella Mille Miglia e a Le Mans (con carrozzeria modificata). Ulteriori modifiche alla vettura sono state apportate tra il 1947 e il 1950, sotto la proprietà di Dudley Folland (terzo alla 12 ore a Montlhery, e ritirato alla 24 ore di Spa per incidente). Quando Folland modificò nuovamente la sua Aston Martin per la gara di Le Mans del 1949, la vettura sopranominata 'Red Dragon' appariva sorprendentemente simile alla Ferrari 166 Spyder Corsa che l’aveva battuto per due volte.

Mercedes-Benz 300 SL Le Mans Special (W194)


La Wagen 194-300SL corse per una sola stagione nel 1952. Vennero utilizzati 7 telai per un totale di 17 partenze in 5 corse. Il bilancio indica un dominio totale: 4 vittorie, di cui due nelle gare più importanti: 24 Ore di Le Mans e Carrera Panamericana. La sola sconfitta fu nell’altra gara importante dell’anno: la Mille Miglia, peraltro archiviate con un secondo posto. Se ci fosse stato il Campionato Mondiale Marche, la Mercedes lo avrebbe dominato.

Il ritorno alle corse non avrebbe potuto essere migliore, pur con una vettura che concedeva parecchio in potenza e caratteristiche progettuali alle Ferrari, Jaguar e Maserati. Per le Mille Miglia vennero iscritte tre vetture nella categoria Sport oltre 2.000 cc:

• Lang-Grupp, telaio 03/52, numero 626.
• Kling-Klenk, telaio 04/52, numero di gara 623.
• Caracciola-Kurrle, telaio 05/52, numero 613.

Lang uscì subito di scena per una toccata contro un paracarro che rovinò irrimediabilmente la tenuta di strada. Caracciola, al rientro dopo l’incidente a Indianapolis nel 1946, dimostrò di avere ancora la resistenza e la classe per lui abituali, anche se dovette fare fronte al surriscaldamento del motore nelle fasi finali: tra Parma e Brescia dovette fermarsi quattro volte per rabboccare l’acqua di raffreddamento. A Roma, Caracciola era passato in settima posizione, dietro le Ferrari ufficiali e la Jaguar C di Stirling Moss, ma aveva la missione di condurre una gara prudente. Primo a Roma fu Kling: il suo tempo era di 20 minuti inferiore a quello di Caracciola e staccava di oltre 6 minuti Piero Taruffi con la Ferrari meglio piazzata. È entrata nella leggenda la rimonta di Giovanni Bracco (Ferrari 250S Berlinetta Vignale, numero di gara 611) nella seconda parte della corsa, in particolare sugli Appennini. Recuperò i 12 minuti che a Roma lo separavano da Kling e arrivò vincitore a Brescia precedendo Kling di 4’32”. Caracciola fu quarto a 38’40”.

La seconda gara, Preis von Bern für Sportwagen, fu una passeggiata. Si trattava di una gara di contorno al GP di Svizzera F1, a fronte di una debolissima opposizione. Furono schierate 4 vetture, per la prima e unica volta dipinte in colori diversi dall’argento. La “passeggiata” fu rovinata dall’incidente di Rudolf Caracciola che al tredicesimo giro sbagliò una curva schiantandosi contro un albero con la sua 300SL telaio 05/52, (numero di gara 16) di colore rosso scuro. Ne uscì con una grave frattura alla gamba sinistra (l’unica sana), che lo obbligò a chiudere con le corse. Vinse Kling (con il telaio 04/52, già utilizzato nelle Mille Miglia, numero 18, di colore verde. Lang (03/52, numero 20, colore blu) fu secondo a 38” e Fritz Riess (1922-1991) terminò terzo a 1 giro. Quest’ultimo guidava la 06/52, al debutto in corsa, primo esemplare con le nuove portiere abbassate, colore argento, numero di gara 22.

In preparazione per le 24 Ore di Le Mans, durante le prove di aprile, venne sperimentato un freno aerodinamico montato sopra la vettura e azionato dal pilota prima delle curve. Il sistema si rivelò inadatto agli sforzi imposti dalla velocità e non venne utilizzato in corsa.
Per la gara di giugno vennero schierate tre vetture “normali”, nuove:

• 07/52 per Hermann Lang-Fritz Riess, numero 21, banda blu.
• 08/52 per Karl Kling-Hans Klenk (1919-2009), numero 22, banda verde.
• 09/52 per Theo Helfrich (1913-1978)-Helmut Niedermayr (1915-1985) numero di gara 20, banda rossa sul frontale.

Inoltre, la 06/52 venne iscritta quale riserva con il numero di gara 22. I motori erano stati preparati a 166-169 CV a 5.100 giri/min in quanto si era constatato nelle prove che la benzina disponibile a Le Mans era di cattiva qualità. Vennero mantenute le ruote da 15” e fu un errore che provocò il consumo anomalo dei pneumatici Continental, obbligando tutte le Mercedes a soste più frequenti di quanto programmato. Un più economico consumo di carburante e pneumatici portò al comando la Talbot-Lago T26 4,5 litri di Pierre Bouillon. La Mercedes perse all’ottava ora la vettura di Kling-Klenk per un guasto alla dinamo: unico ritiro per cause tecniche in tutto l’anno. Helfrich-Niedermayr erano stabilmente in terza posizione dalla ventesima ora, dietro Lang-Riess, ma la strategia per una gara sempre in testa era stata rovinata dai problemi alle gomme: le Mercedes non avevano più speranze di vittoria. Proprio all’ultima ora, Levegh fece un fuori-giri e si dovette fermare: l’errore era dovuto a stanchezza in quanto aveva guidato da solo fin dalla partenza. Le Mercedes si ritrovarono così al comando con LangRiess e conclusero nelle prime due posizioni, staccando di oltre 200 km i terzi classificati.
Non fu una vittoria regalata perché venne battuto di ben 122 km il record della corsa, stabilito l’anno prima dalla Jaguar C di Walker-Whitehead. La concorrenza era fortissima: Jaguar, Ferrari, Cunningham, Gordini, Talbot, ma nessuno aveva retto il ritmo delle Mercedes e della Talbot.

In confronto alle 24 Ore di Le Mans, la quarta gara dell’anno fu una facile esibizione in una corsetta dal nome altisonante, Gross Jubiläumspreis für Sportwagen, organizzata il 2 agosto per solennizzare i 25 anni dall’apertura del circuito del Nürburgring. Vennero schierate 4 vetture, tutte spyder: tre trasformate dai coupé con un risparmio di peso di circa 110 kg e una, nuova (telaio 10/52) costruita spyder passo corto. In prova, guidato da Kling, lo spyder passo corto montò un motore  sovralimentato da un compressore Roots. Le vetture erano tutte dipinte in argento e vennero rifinite con triangoli rovesciati colorati sotto i fari per il riconoscimento
• Numero di gara 21 blu, telaio 07/52 per Hermann Lang, primo in 1.45’09”2 media 129 km/h
• Numero 24 nero, telaio 10/52 passo corto per Karl Kling, secondo a 1'1”9.
• Numero 22 rosso, telaio 09/52 per Fritz Riess, terzo a 4’27”1.
• Numero 23 verde, telaio 06/52 per Theo Helfrich quarto a 12’20”02.

Il distacco del quarto dimostra che dopo le Mercedes ci fu il vuoto. Archiviata l’esibizione in patria, l’ultimo appuntamento dell’anno fu alla Carrera Panamericana, terza edizione, attraverso tutto il Messico. Questa corsa non era nei programmi iniziali del Rennabteilung, ma vi entrò per la richiesta del rappresentante commerciale in Messico, che vedeva un forte ritorno di immagine per le vetture di serie nell’intero mercato nordamericano. La spedizione venne preparata come d’abitudine: 35 persone nella squadra; sbarco in Messico il 22 ottobre con due coupè (05/52 e 08/52) e due spyder (07/52 e 09/52) oltre a due berline 300 preparate per le ricognizioni. Lo spyder 07/52 fu assegnato a Gunther Molter, allora collaboratore esterno dell’ufficio stampa, per fungere da assistenza veloce. Serviva soprattutto a Molter per arrivare rapidamente ai traguardi di tappa e inviare il suo rapporto a Stoccarda e alla stampa tedesca. I motori erano stati alesati a 3.100 cc per 177 CV a 5.200 giri/minuto.

La Carrera si svolgeva in gran parte in quota, fino a 3.300 m, dove i motori perdevano potenza. Le 300SL erano state così assegnate:
• Numero di gara 3, triangoli blu attorno ai fari, telaio 05/52: Lang-Grupp.
• Numero 4, triangoli verdi, telaio 08/52: Kling-Klenk.
• Numero 6 triangoli bianchi, spyder telaio 09/52: John Ficht (1917)-Geiger.

Partirono in 92, tra i quali il meglio dell’Europa (Ferrari, Gordini, Lancia) e degli USA, da Tuxtla Gutierrez, al confine sud del Messico. Nella prima tappa, 530 km di montagna fino a Oaxaca, l’auto di Kling ebbe un incontro troppo ravvicinato con un avvoltoio, che spezzò il parabrezza e ferì, se pure non gravemente, il pilota. Dall’arrivo di quella tappa, davanti ai parabrezza vennero fissate barre metalliche a protezione dei piloti. Nelle prime tappe, le Mercedes si piazzarono dietro la Gordini di Jean Behra e le Ferrari di Giovanni Bracco e Gigi Villoresi. Finite le montagne, la superiorità aerodinamica delle 300SL iniziò a pagare in termini di maggior velocità: Kling, il terzo giorno, vinse la tappa Leon-Durango, seguito da Lang. Anche le tappe successive furono vinte da Kling, che segnò la media di 213,7 km/h nell’ultima, da Chiuahua al traguardo di Ciudad Juarez, confine con il Texas. Ficht andò ancora più veloce, ma era stato già squalificato per avere percorso qualche centinaio di metri in direzione contraria alla corsa. Vinsero Kling-Klenk, alla media di 165km/h. Lang-Grupp furono secondi mentre Chinetti-Lucas risultarono i migliori tra i piloti Ferrari, in gara con una 340 telaio 0222AT. Si chiudeva così la breve e intensa stagione agonistica della Wagen 194. Degli 11 esemplari costruiti, cinque appartengono oggi al Museo Mercedes, il prototipo 01 è stato distrutto così come l’esemplare 010, tre sono proprietà di collezionisti privati, la sorte dell’esemplare 03 è ignota.

Jaguar XJ-S Trans-AM



Questa Jaguar XJS, con il numero 44, è stata pilotata da Robert (Bob) Tullio nel 1976 -77 nelle corse del campionato Trans-Am, vincendo una gara nel 1976 e cinque nel 1977.

Bob Tullio (ex veterano dell'Air Force) iniziò a correre nel 1961 con una Triumph TR3, poi fondò la squadra corse “Gruppo 44”, con la quale vinse molte gare. Per questo motivo, la Jaguar avvicinò il team per sviluppare la XJS da far correre nel campionato IMSA GTP e Trans-Am.

Nel 1975, la XJS era considerata la sostituta della Jaguar E-Type. I tecnici del Gruppo 44, lavorarono molto per preparare al meglio le vetture; il motore V12 da 5,5 litri venne dotato di lubrificazione a carter secco e il sistema di iniezione venne rimpiazzato con una batteria di sei carburatori Weber  a doppio corpo. All'inizio della stagione, la macchina disponeva di 475CV, per arrivare a più di 500 nelle ultime gare. Il cambio era a manuale a quattro rapporti e freni (AP) a disco su tutte le ruote.

venerdì 3 febbraio 2017

Mercedes-Benz W196






Nei primi anni delle competizioni automobilistiche, il regolamento era assai permissivo ed i tecnici potevano dar libero sfogo alla propria creatività. Ma nel 1954 le nuove regole imponevano una cilindrata di 750 cm³ per motori con compressore o 2500 cm³ per motori atmosferici; libera scelta per la miscela di carburante, e gare su una distanza di 300 km (o un minimo di tre ore).

Per il ritorno alle competizioni, i tecnici della Mercedes-Benz misero a punto il progetto W196; il motore (M196) era un otto cilindri in linea, bialbero da 2496 cm³, con innovativa distribuzione desmodromica, che consentiva di eliminare le molle di richiamo delle valvole e di poter funzionare a regimi più alti. Un'altra novità fu l'alimentazione ad iniezione diretta, sviluppata attraverso l'esperienza acquisita sul caccia Messerschmitt Bf 109 durante la Seconda guerra mondiale. Il motore era fissato al telaio con un'inclinazione di 28° sul lato destro e venne disassato rispetto all'asse longitudinale della vettura per permettere all'albero di trasmissione di poter passare a fianco del sedile del pilota. La potenza massima raggiunta da tale propulsore era di 260 CV, ma durante l'attività sportiva della W196, protrattasi per un anno e mezzo, si arrivò anche a 295 CV ad 8 500 giri/min.

Il carburante utilizzato era una miscela Esso altamente reattiva con il codice RD 1, ottenuta con il 45 % di benzene, il 25 % di metanolo, il 25 % benzina (110/130 ottani), acetone al 3 % e 2 % di nitro-benzene. Questa miscela avrebbe mangiato un serbatoio di acciaio durante la notte.

Il telaio della W196 era leggerissimo (36kg), ed era formato da una struttura reticolare di tubi in magnesio saldati tra loro. Innovative anche le sospensioni a ruote indipendenti sui due assi, schema che venne poi utilizzato sulla produzione delle vetture da strada. L'impianto frenante prevedeva quattro tamburi a doppia ganascia con alettature di raffreddamento, sistemati entrobordo in modo da ridurre le masse non sospese. L'interasse del telaio era originariamente di 2,33 m, ma nel corso della carriera della W196 venne via via ridotto fino a raggiungere 2,15 m.

La peculiarità di questa vettura stava però nella carrozzeria. Completamente in alluminio, presentava una carenatura completa delle ruote come avveniva sulle vetture Sport (per questa vettura vennero condotti i primi studi della storia della F1 in galleria del vento su un modello in scala 1:1). La casa di Stoccarda esordì con le sue nuove vetture al circuito di Reims dove Fangio raggiunse per la prima volta i 200 km//h in un circuito, vincendo la gara. Ma a Silverstone, la scarsa maneggevolezza della vettura si fece sentire parecchio. Fangio non riusciva a spremere il vero potenziale della sua Mercedes, trovandosi a dovere sgusciare tra i coni che delimitavano la pista con una macchina grande, ingombrante e poco reattiva. Si capì subito che la versione della carrozzeria carenata portava benefici solamente sui circuiti veloci. La Mercedes carenata, con una resistenza aerodinamica di 80kg arrivava a 175 km/h, la stessa vettura a ruote scoperte, toccava solamente i 157 km/h, mentre a 250 km/h, velocità massima, la differenza di resistenza aerodinamica era di 37kg in meno in favore della versione carenata. Con una minore velocità di punta, ma meno pesante (circa 100 kg) e più agile, la W196 privata di carenature debuttò al Nürburgring, dove Fangio riuscì ad arrivare sul gradino più alto del podio. L’argentino trionfò anche in Svizzera e a Monza, questa volta con la versione carenata della vettura, che si adattava bene ai lunghi rettilinei del tracciato brianzolo (da allora la versione carenata venne denominata “Monza). Nel 1955 la Mercedes corse praticamente solo con la vettura a ruote scoperte.

Al mondo restano solo dieci esemplari di W196 dei 14 realizzati alla casa tedesca

giovedì 2 febbraio 2017

Alfa Romeo 8C 2300 Monza





Incoraggiata dal successo della 6C 1750, l’Alfa Romeo commissionò a Vittorio Jano, una vettura per le competizioni del 1931; la priorità di Jano fu data alla progettazione di un nuovo motore più grande e potente per affrontare la sempre più agguerrita concorrenza. Come per la P2 del 1924, egli optò per un 8 cilindri in linea, ricavato da due blocchi di quattro cilindri (inizialmente in acciaio, poi in alluminio) con la trasmissione per gli alberi a camme ricavata nel centro, per ridurre la lunghezza degli alberi stessi ed evitare quindi pericolosi flessioni. La potenza di questi motori, grazie anche ad un compressore Roots, era di circa 180 CV. Le sospensioni era molto convenzionali con balestre semi-ellittiche ed ammortizzatori a frizione.

Il telaio, anch’esso derivato dalla 6C, era di costruzione leggera (1000 kg), scatolato in acciaio, realizzato in due versioni: Le Mans a passo lungo (3100mm) che comprendeva il sedile posteriore obbligatorio, e il passo corto (2750mm) nelle versioni Spyder Mille Miglia, e Gran Premio. Tra il 1931 e il 1934 un totale di 188 telai vennero carrozzati da Touring e Zagato, che produssero varianti sia stradali che da competizione.

Le prime due 8C 2300 carrozzate Zagato, furono prodotte in tempo per il debutto alla Mille Miglia del 1931, portate in gara da Nuvolari ed Arcangeli. Tuttavia il debutto non fu glorioso a causa di ripetuti problemi ai pneumatici, ma se la prima gara venne offuscata dalla polvere sollevata dalla Mercedes-Benz SSK da 7100cc di Rudolf Caracciola , alla successiva Targa Florio, Nuvolari colse sotto la pioggia insistente il primo di tanti successi che si sarebbero ripetuti sulle strade italiane per tre anni di seguito. Le auto usate alla Targa Florio, erano in realtà leggermente diverse, con un passo di 2650mm e realizzate per i gran premi in attesa della “Tipo A” (la famosa bimotore). A Monza, vennero schierate sia le 8C che le Tipo A, queste ultime riservate sempre a Nuvolari ed Arcangeli. Nel corso delle prove, perse la vita Arcangeli, e Nuvolari preferì correre con la 8C, portandola al successo. I telai 2300S (Grand Prix) successivamente costruiti, sono stati indicati come “Monza” in onore di questa vittoria. Questa vettura, contraddistinta dalle tipiche feritoie sul cappuccio del radiatore, ha continuato a correre e vincere nei gran premi fino a quando venne sostituita dalla “Tipo B” nel 1932.

Dai registri di fabbrica dell’Alfa Romeo, risulta che i telai prodotti delle “Monza” siano minori delle vetture effettivamente esistenti, ma questo si spiega per il semplice fatto che allora, un giovane Enzo Ferrari era solito convertire dei telai “Spyder” in vetture da gran premi, da affidare a clienti quali Caracciola, Chiron, Sommer, Wimille, Nasturzio e Castelbarco.

Se la Bugatti 35 è passata alla storia come la macchina da corsa di maggior successo di sempre, l'Alfa Romeo 8C 2300, non fu da meno, con tre vittorie nella Mille Miglia, tre nella Targa Florio, quattro a le Mans e una vittoria al Gran Premio di Monza. La stessa vettura che era a disposizione di tutti i clienti per uso stradale.

mercoledì 1 febbraio 2017

Porsche 718





La Porsche 718 è un'autovettura da competizione prodotta dalla Porsche dal 1957 al 1961 in diverse versioni e diverse motorizzazioni.

Derivata in parte dalla Porsche 550 Spyder, alla presentazione era in versione a ruote coperte, ma dalla versione base vennero ricavate anche versioni monoposto a ruote scoperte che presero parte a varie competizioni sia di Formula 2 che di Formula 1.

Durante gli anni di produzione, dopo la prima versione RSK, venne contrassegnata dalla sigla RS (RennSport) seguita dall'anno di produzione, come nel caso delle RS 60, RS 61 e RS 62. Tra i molti successi ottenuti, vi sono tre edizioni della Targa Florio e l'edizione del 1960 della 12 Ore di Sebring.

lunedì 30 gennaio 2017

Porsche GT1 (993-117)

Porsche GT1 993 s/n117


Nel 1994, sulle ceneri del Campionato Mondiale Sport Prototipi, nacque la serie BPR, che colse da subito un grande successo, confermato dall’adesione di molti marchi prestigiosi.Il salto di qualità avvenne nel 1996 quando la Porsche entrò ufficialmente nelle competizioni con la nuova 911 GT1, una “Elfer” solo nel nome, infatti il telaio era monoscocca in carbonio, motore centrale 6 cilindri boxer biturbo con raffreddamento ad acqua, 600 cavalli, sospensioni a doppi triangoli con molla/ammortizzatore push-rod, carrozzeria in fibra di carbonio, oltre 320 km/h. La 911 GT1 quindi, fu una delle protagoniste del periodo, in lotta contro la Mercedes CLK-GTR, la Lotus Elise GT1, la McLaren F1 GTR e, potenzialmente, con la Ferrari F50 GT (il cui progetto venne bloccato).
Nel 1996 la 911 GT1 conquistò il secondo e terzo posto di classe alla 24 Ore di Le Mans e tre successi in altre gare della serie BPR. A fine stagione, presso la sede del Centro di Ricerca e Sviluppo Porsche a Weissach, furono elaborati una serie di aggiornamenti per la stagione ’97 che la qualificarono come 911 GT1-97 Evolution.

Secondo Jurgen Barth, ex Direttore Sportivo Porsche e grande appassionato di Porsche, la casa madre produsse 6 telai da corsa per la squadra ufficiale (numeri 001 – 006) e 22 esemplari stradali (993 GT1). Successivamente furono approntati altre 8 vetture tipo Corsa per i privati (telai da 396001 a 396023) ed in fine, nel 1998, furono prodotte altre 4 vetture da competizione più una stradale, la "911 GT1 Straßenversion" (996 GT1). In totale, la produzione assomma a 41 unità (18 da corsa, 23 stradali).

L'esemplare di questa illustrazione, fu venduto nel 1997 come semplice telaio da Porsche Motorsports North America a Bytzek Motorsports di Toronto, uno dei team maggiormente impegnati con la 911 GT1 tra la metà degli anni 90 e i primi anni 2000. Il team canadese, già proprietario di tre esemplari della prima serie della GT1, acquistò questo telaio per ricostruire una delle proprie vetture andata seriamente danneggiata in gara a Mosport.
Nella nuova scocca furono installati motore, trasmissione e sospensioni dell’esemplare incidentato, più ulteriori componenti acquistati ex novo da PCNA, incluso un pacchetto upgrade Evo. Per questo motivo, il telaio 993-117 può essere considerato l’unico di 911 GT1 Evo 1997 venduto dalla fabbrica, laddove gli altri sono qualificabili come upgrade su esemplari ’96. È inoltre valutata come la più vittoriosa tra le 911 GT1, con 13 vittorie in 31 partenze; 
Bytzek Motorsports vinse tre volte il campionato GT canadese dal 1999 al 2001. La GT1 Evo s/n 117 partecipò anche alla 24 Ore di Daytona del 2001: partita dodicesima, arrivò solo quarantunesima poiché fu ferma ai box a lungo per la sostituzione dell’intera trasmissione. 
Nel periodo 2014/15 è stata completamente restaurata in Inghilterra da Lanzante Motorsports e trasformata in stradale.